Perché è così difficile chiedere aiuto
Richiedere
aiuto per molti può sembrare facilissimo per altri invece risulta estremamente
difficile. È capitato a tutti nella vita di sentire la necessità di chiedere aiuto in un momento di difficoltà
o di aver bisogno di qualcuno con cui poter semplicemente condividere un
problema. Questa necessità nasce dal fatto di essere “animali sociali” come
diceva Aristotele, e la socializzazione
è necessaria per conservare la specie, come affermava Darwin.
Osservando i
branchi di animali, infatti, nella lotta alla sopravvivenza ciascun animale
sente il bisogno di stare vicino ai propri simili per poter ottenere aiuto e
difesa. Il bambino scopre molto presto i
vantaggi di stare insieme agli altri e per soddisfare i propri bisogni
egoistici, capisce fin da subito, che ha necessità di affidarsi a qualcun’altro.
L’essere umano, quindi, senza l’aiuto dei suoi simili sarebbe in grado di fare
ben poco, probabilmente nemmeno sopravvivere.
E seppure questa necessità evoluzionistica
sembra essere scontata e naturale, per molti non lo è, anzi risulta essere
proprio un peso o una difficoltà che compromette tanti aspetti della vita.
Molte persone scelgono di stringere i denti, sperando invano che “tanto
prima o poi passerà”. Aspettano che ogni cosa cada a pezzi invece di affidarsi
a qualcuno che possa dargli realisticamente una mano e cambiare definitivamente
una particolare situazione.
La domanda principale quindi è:
perché è così tanto difficile ricercare aiuto?
Le
motivazioni che spingono a questo sono sicuramente tante, ma si può affermare
che quasi tutte dipendono dalla paura di
essere giudicati.
“Affogò perché si vergognava a gridare aiuto”
Marcello Marchesi, una frase che esprime appieno questo
concetto.
Chiedere la mano di qualcuno, può essere inteso come un segno di debolezza, ad esempio, e sentirsi
osservati nel momento in cui ci sentiamo deboli non piace a nessuno. È come se
si provasse vergogna nell’essere esposti al dolore e nel sentirsi fragili di fronte
a qualcun altro, senza fidarsi della sua sensibilità.
L’orgoglio
è il nemico principale in una situazione simile: si desidera il merito
totale di essere riusciti a risolvere un problema senza voler condividerlo con
nessun’altro.
Lo schema di pensiero alla base di questo comportamento sta, probabilmente, in
un’educazione che ha imposto autonomia e
autosufficienza.
Naturalmente questa ricerca dell'autonomia è un aspetto
positivo, soprattutto in ambiti come la realizzazione di sé e dei propri
desideri tuttavia, questa voglia di indipendenza, si può trasformare in un
rifiuto dell'aiuto dell'altro anche di fronte a difficoltà oggettive.
Non è sempre un comportamento consapevole. Molto spesso, infatti, si è
razionalmente convinti di potercela fare da soli sempre e comunque, altre
volte non si ammette di avere un problema, talmente si è abituati a non
chiedere aiuto.
Ad agire come spettro contro la propria capacità di risolvere le
situazioni problematiche, dalle più semplici alle più complesse può essere la paura di diventare dipendenti.
Potrebbe essere anche questo ciò che frena alcune persone a rivolgersi ad
altri, preferendo che il momento di difficoltà passi da solo oppure che si
riesca a superare con forza di volontà.
Anche la paura di veder rifiutato l’aiuto richiesto può bloccare le
persone nel farlo. Dietro questo timore si nasconde la paura del rifiuto, di sperimentare la sensazione di non essere
abbastanza importanti da far sì che qualcuno possa dedicare il suo tempo al
problema alla base di una propria sofferenza.
Cosa succede quando non si chiede aiuto?
Ritenere di non aver bisogno di aiuto, porta le persone a sperimentare
a lungo termine una forte frustrazione
causata da aver raggiunto risultati molto diversi da quelli sperati, con un
dispendio di energia molto alto. Il risultato è quello di chiudersi in sé stessi,
vittimizzarsi e sperimentare una profonda e continua diffidenza verso l’altro
che porta, inevitabilmente, all’autoesclusione.
Chiedere aiuto quindi, vuol dire affidarsi a qualcuno e comprendere che
tutti hanno bisogno di reciprocità e
che nel farlo non si perde la propria immagine di persona indipendente, ma la
si arricchisce grazie proprio allo scambio.
Ciò significa avere coraggio di sperimentare la sensibilità dell’altro,
superando i propri timori e godendosi il piacere del sentirsi meno soli. .
Quando il problema riguarda la sfera emotiva o anche quando si
sperimenta per lungo tempo uno stato di malessere di cui non se ne riconoscono
le cause e non si riesce ad individuare come e cosa fare per stare meglio, la
figura più indicata è sicuramento lo psicologo. Anche in questa scelta i
pregiudizi, le paure, le difficoltà sono tante, ma superarle vuol dire
assumersi un’autentica responsabilità
verso sé stessi e riottenere il diritto di vivere meglio.
Dott.ssa Annapia Sessa
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