SI tratta davvero di amore? La possessività nelle relazioni



“Non capisco perché debba condividere la mia ragazza con le sue amiche, o i miei amici con i loro partner. (…) Ho bisogno d’aiuto. (…) Ma quando qualcosa è mio sento di avere il diritto di cederlo, oppure no, e per tutto il tempo che decido io. Non per niente è mio”.
da “Lascia che ti racconti” Jorge Bucay



Questo piccolo stralcio di racconto è un chiaro esempio di possessività e controllo sull’altro: dinamiche che oggi sembrano trovare ampiamente spazio soprattutto nei rapporti di coppia, sotto forma di eccessivi accertamenti su spostamenti e uscite del partner, proibizioni rispetto ad hobbies e passatempi, prevaricazione degli spazi personali come controlli del telefono e social network, gelosie e sospetti di infedeltà.

La persona con tendenze possessive, in questo senso, richiede che l’altro rinunci alla propria autonomia e libertà, negandogli ogni possibilità di fare esperienza di una realtà alternativa rispetto a quella della coppia e costringendolo a condividere tutto il proprio mondo: dalla realtà lavorativa, alla rete affettiva e amicale, fino ad arrivare a interessi, passioni, abitudini e routines quotidiane.
        
La relazione fatta di complicità e condivisione finisce quindi in questo caso per diventare un rapporto simbiotico e fusionale, dove si perdono spazi e confini tra l’Io e il Tu. Il partner in questo senso sacrifica infatti non solo la sua libertà, ma anche il suo essere ontologico altro, il suo essere diverso e unico, mantenendo anche all’interno della coppia la sua singolarità, libertà e qualità di persona. 

Ciò che caratterizza in questo senso l’individuo con una tendenza alla possessione è difatti l’incapacità di vedere l’altro come separato e distinto rispetto al sé: il proprio partner diviene quindiun oggettotramite cui riconoscersi e identificarsi, in un fenomeno definito di depersonalizzazione, e il legame fusionale con esso l’unica modalità di realizzare la propria esistenza.

Le dinamiche profonde della possessività

Per comprendere in profondità cosa spinge la persona a mantenere questi atteggiamenti possessivi, possiamo fare riferimento alla teoria di John Bowlby sull’attaccamento, secondo cui le relazioni affettive che la persona instaura nell’età adulta riflettono il legame sviluppato nell’infanzia con la propria figura materna. In questo senso possiamo pensare che dietro il soggetto adulto che cerca di controllare e possedere l’altro esista un bambino con una madre discontinua, imprevedibile e non sempre disponibile nella sua presenza che non gli ha permesso di sviluppare un adeguata sicurezza e fiducia su di sé e sul rapporto con gli altri.

Questo fa sì che nel proprio percorso di crescita e sviluppo l’individuo non sia in grado di riconoscere i propri bisogni e il proprio senso di autoefficacia: questo lo spinge a essere completamente dipendente dall’altro e fare affidamento esclusivamente su questo per la propria sopravvivenza e, parallelamente, temere continuamente di essere rifiutato e abbandonato.

In questo senso l’ipercontrollo e la gelosia morbosa che la persona esercita sul proprio partner vanno quindi interpretati come dei tentativi disperati di mantenere quel legame, scongiurando la separazione e la perdita dell’oggetto amato. E’ importante riflettere su come queste modalità risultino alla fine non efficaci e deleterie, determinando spesso l’esasperazione del partner che sente minacciata la propria libertà, con conseguente rottura e fine del rapporto stesso.


Come affrontare la dinamica della possessività in coppia

Per evitare che ciò accada, la persona possessiva potrebbe iniziare un lavoro di riflessione e autoconsapevolezza, magari all’interno di un percorso di psicoterapia personale, spostando l’attenzione dalla paura dell’abbandono dell’altro esterno, alla difficoltà nell’entrare in dialogo con il proprio sé: iniziando a prendere  contatto con la propria dimensione più intima e personale, il soggetto  può infatti riconoscere la propria individualità, imparando a esprimere innanzitutto se stesso anche in assenza del proprio partner, al fine di uscire  da dinamiche di dipendenza e controllo.

Per imparare ad amare l’altro in profondità è necessario quindi iniziare a conoscere e amare se stessi, sperimentandosi come individui autonomi, con propri bisogni e aspettative, fragilità e debolezze, risorse e potenzialità. Solo acquisendo la capacità di restare sola e accettare la propria individualità la persona può riconoscere la libertà dell’altro, e avere fiducia che questo resti anche al di fuori del proprio controllo.  Questo contribuirà infine in maniera significativa allo sviluppo di un rapporto saldo e duraturo con il proprio partner, basato sulla conoscenza delle proprie e altrui differenze ma sullo sforzo condiviso nel raggiungimento di un obbiettivo comune in un clima di complicità e intimità profonde.

Dott.ssa Eleonora Capriotti

“Amatevi, ma non tramutate l'amore in un legame. Lasciate piuttosto che sia un mare in movimento tra le sponde opposte delle vostre anime. Colmate a vicenda le vostre coppe, ma non bevete da una stessa coppa. Scambiatevi il pane, ma non mangiate da un solo pane. Cantate e danzate insieme e insieme siate felici, ma fate in modo che ognuno di voi sia anche solo, come sono sole le corde di un liuto, sebbene vibrino alla stessa musica. Mettetevi fianco a fianco, ma non troppo vicini. Perché la quercia non si rialza all'ombra del cipresso.”(Khalil Gibran)


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