Come prendiamo le decisioni? Euristiche e bias cognitivi
Euristiche e bias
Le
euristiche sono delle scorciatoie mentali che conducono l’individuo a
conclusioni rapide e con il minimo sforzo. Molti studiosi sostengono che le euristiche
siano abilità acquisite dal cervello nel corso dell’evoluzione. Infatti, la loro
origine può essere ricollegata ai tempi dell’Homo Sapiens, il quale per
sopravvivere necessitava di prendere decisioni veloci e spesso intuitive,
anziché fermarsi a pensare. Egli, appunto, non poteva permettersi il lusso di
fermarsi a pensare a quali sarebbero state le strategie migliori da adottare
quando si trovava di fronte ad un feroce animale, altrimenti possiamo
ipotizzare che l’estinzione dell’uomo sarebbe avvenuta già da tempo. Le
strategie da adottare di fronte ad un grosso animale erano due: lottare o
fuggire, e una delle due doveva essere scelta velocemente altrimenti l’uomo
primitivo e di conseguenza tutti noi avremmo rischiato la vita. Questa continua
necessità di cercare di prevedere e controllare l’ambiente circostante ha
portato l’uomo a riconoscere un’eventuale minaccia con l’aiuto di poche
informazioni. Tant’è che nel momento in cui veniva captata la minaccia, a
prescindere dal fatto che fosse reale o meno, nel cervello dell’individuo si attivavano
immediatamente complessi processi biochimici, come il rilascio di adrenalina,
che preparavano l’uomo al fight or fly.
Alcuni dei nostri processi cognitivi non
differiscono da quelli degli uomini primitivi, specie quelli che sono mediati
dal cervello “rettiliano”. Quando vi è poco tempo a disposizione per prendere
decisioni, il cervello “riflette” in modo euristico, intuitivo e meccanico. Se
pensiamo all’epoca in cui ci troviamo, ovvero l’epoca della frenesia, questo
diventa un importante spunto di riflessione. I ritmi frenetici della vita
moderna impongono all’individuo di usare queste scorciatoie, facendo sì che
esso abbia sempre più bisogno di utilizzare il pensiero euristico, intuitivo.
Il pensiero euristico è possibile sperimentarlo, infatti, nella vita di tutti i
giorni; quando andiamo a fare la spesa, quando dobbiamo comprare un regalo, anche
quando dobbiamo scegliere un vestito, così che, senza rendercene conto,
diventiamo sempre più vulnerabili agli stimoli esterni.
Il principio generale del minimo sforzo
afferma che dati vari percorsi per raggiungere lo stesso obiettivo, gli
individui tenderebbero a scegliere quello meno impegnativo. Questa è la stessa legge
dimostrata dagli esperimenti di Tolman e Honzik (1930), in cui si vedeva come
le cavie scegliessero sempre il percorso del labirinto più breve in relazione
alle loro mappe cognitive.
Data la rapidità dei giorni nostri, le
euristiche sono sicuramente utili data la loro rapidità ed economicità. Come
abbiamo visto durante l’evoluzione esse sono state addirittura indispensabili
per la sopravvivenza, ma c’è anche l’altra faccia della medaglia: se utilizzate
in circostanze non adeguate possono indurci a commettere errori gravi e
sistematici, i bias.
Vediamone
qualcuno insieme…
Bias della disponibilità
Dobbiamo
realmente preoccuparci dei terremoti, del morbo della mucca pazza, del
terrorismo, o degli attacchi degli squali? Cosa dovremmo fare per prevenire
questi pericoli? Con quanta premura dobbiamo cercare di evitare i relativi
rischi?
Quando
gli individui si trovano a rispondere a domande del genere, solitamente,
ricorrono alla euristica della
disponibilità, “valutando la probabilità dei rischi a seconda della
facilità con cui riescono a pensare a un esempio pertinente”. Infatti, quando
facciamo una valutazione della frequenza di un evento siamo influenzati dalla
facilità con cui ricordiamo questo evento. In altre parole, quanto più
facilmente riusciamo a pensare a esempi rilevanti di un evento, tanto più è
alta la probabilità che questo ci preoccupi o ci spaventi. Il rischio dovuto al
terrorismo, al l’indomani dell’11 settembre viene considerato più grave di un
rischio meno familiare come può essere quello derivato dal l’esposizione al
sole. (Nudge: la spinta gentile, R. Thaler, 2009).
Nel
1971/1972, mentre lavoravano all’Oregon Research Institute, D. Kahneman e A.
Tversky decisero di interessarsi a ciò che successivamente chiamarono
“euristica della disponibilità”. L’elaborazione di questo concetto iniziò
quando i due studiosi si chiesero cosa facessero realmente le persone quando
devono stimare la frequenza di una categoria o evento. Secondo loro, le persone recuperavano dalla
memoria esempi della categoria/evento in questione e, se il recupero avveniva
in maniera fluida e senza sforzo l’evento veniva giudicato frequente.
Dunque,
l’avalaibility bias riguarda quelle
situazioni in cui la frequenza di un evento o di una categoria viene definita
in base alla facilità con cui vengono in mente esempi o casi in cui
quell’evento si è verificato. Quest’euristica dipende dunque dalla frequenza di
esposizioni a determinati stimoli con un fatto, un evento o a una notizia e
dalla salienza di quest’ultimi. Inoltre, intrinsecamente correlato a questo bias, sono i concetti di accessibilità e
rilevanza. Pensiamo ai sopravvissuti del terremoto avvenuto a l’Aquila nel 2009.
Chi ha vissuto un evento del genere è più portato a credere che la frequenza di
un terremoto sia molto elevata rispetto alle persone che ne hanno avuto notizia
tramite giornali o televisione. In tutti i casi in cui un esempio è facilmente
disponibile, il sistema 1 è profondamente consapevole del rischio senza la
necessità di consultare i dati reali. Utilizzando questa euristica è possibile anche spiegare alcuni comportamenti associati
al rischio, comprese le decisioni pubbliche e private sulle precauzioni da
prendere. Stipulare un’assicurazione contro i disastri naturali è un’azione
fortemente influenzata dalle esperienze recenti(Slovic, Kunreuther e White,
1974). È stato dimostrato che nei periodi successivi ad una calamità naturale,
come il terremoto, l’acquisto di polizze assicurative contro questo tipo di
disastri aumenta esponenzialmente, riducendosi poi con il passare del tempo,
man mano che questi ricordi affievoliscono.

Bias
dell’ancoraggio
L’euristica
dell’ancoraggio ha luogo quando dobbiamo esprimere un parere o un giudizio su
un tema partendo da un benchmark (un’ancora). Il problema emerge siccome
l’informazione che si utilizza per orientarsi influenza fortemente il nostro giudizio
finale, ciò è dovuto al fatto che dopo averlo utilizzato per orientarci nella
valutazione di un evento non si riesce più a liberarsene. Il punto di
riferimento, o benchmark, può essere sia intrinseco alla formulazione di un
problema o essere il risultato di un calcolo parziale. In entrambi i casi gli
aggiustamenti che si possono compiere, solitamente, non sono sufficienti.
Inoltre, quando si prende una qualsiasi decisione spesso subiamo l’influenza
anche di “ancore palesemente
irrilevanti”. R.Thaler nel libro Nudge:la spinta gentile, propone un esempio
molto banale ma al contempo esplicativo di come siamo influenzati dalle ancore. Proviamo a seguirlo:
![]() |
Daniel Kahneman e Amos Tversky |
“Prendete
le ultime tre cifre del vostro numero di telefono e aggiungete duecento.
Appuntatevi il numero che avete ottenuto. Adesso in che periodo pensate che
Attila, il re degli Unni, mise a ferro e fuoco l’Europa? Fu prima o dopo
quell’anno? Qual è la vostra stima migliore?”
Anche se non sappiamo nulla di storia Europea, senza alcuno sforzo
sappiamo che le cifre del nostro numero di telefono non hanno nulla a che
vedere con l’anno in cui Attila mise a ferro e fuoco l’Europa. Thaler quando
fece questo esperimento con i suoi studenti si accorse che, in accordo a quanto
precedentemente supposto, l’effetto ancoraggio aveva luogo anche quando, come
in questo caso, “l’ancora” non era per nulla correlata con la domanda del
compito. Infatti, gli studenti che partono con un numero(ancora) elevato
tendevano a dare stime maggiori, di quasi 300 anni, rispetto agli studenti con
un’ancora bassa.
L’euristica della rappresentatività
Questo
tipo di euristica fu la terza ad essere trovata da Tversky e Kahneman durante i
loro lavori sul come prendiamo le decisioni. L’euristica della
rappresentatività riguarda quei casi in cui bisogna valutare la probabilità che
A appartenga alla categoria B, gli individui reagiscono domandandosi quanto sia
simile A allo stereotipo o al l’immagine che hanno di B (cioè quanto A è
“rappresentativo” di B). Ad esempio siamo tendenti a credere che una persona
molto alta abbia maggiori probabilità di entrare a far parte di una squadra di
pallacanestro rispetto ad una persona di 1.60 metri, perché ci sono molti
giocatori di basket alti e relativamente pochi di bassa statura.
Quindi,
questo tipo di euristica fonda il suo funzionamento su stereotipi, su
categorizzazione e sul principio di somiglianza, non considerando il calcolo
delle probabilità. Molti sono stati, ad oggi, gli esperimenti che hanno
confermato questo tipo di pensiero euristico. Una famosa dimostrazione di
questo tipo di ragionamento è basato sul un personaggio immaginario chiamato
Linda. Ai soggetti venivano presentate queste informazioni: “ Linda è una donna
di trentun anni, single, schietta e molto brillante. Ha una laurea in
filosofia. Quando era studentessa, era profondamente interessata ai problemi di
discriminazione e giustizia sociale e ha partecipato anche a una manifestazione
contro il nucleare” Ai soggetti veniva quindi chiesto di classificare, secondo
la probabilità del loro verificarsi, otto ipotetici futuri per linda. Le due
riposte più frequenti erano “cassiera di banca” e “cassiera di banca attiva nel
movimento femminista”. Ma analizzando la
frequenza delle due risposte, “cassiera di banca attiva nel movimento
femminista” era più frequente di “cassiera di banca”. Come possiamo facilmente
notare questo tipo di risposta è viziato sul piano logico. Infatti è
logicamente impossibile che il “verificarsi di una coppia di eventi sia più
probabile del verificarsi di uno solo di questi. Questo tipo di errore logico
deriva, appunto, dal l’influenza dell’euristica della rappresentatività: la
descrizione che è stata illustrata ai partecipanti sembra essere molto più
“rappresentativa” di una cassiera di banca impegnata nel movimento femminista
anziché una semplice cassiera di banca. Jay Gold nel 1993 ha osservato che
anche essendo a conoscenza di questa irregolarità logica siamo troppo
influenzati da quanto la descrizione assomiglia a la categoria della cassiera
di banca femminista anziché di cassiera di banca.
Come abbiamo visto dagli esempi di bias appena citati, il nostro pensiero è tutt'altro che razionale. Sapendo che finora sono stati categorizzati almeno 250 tipi di ragionamento fallace (bias) ed essendo a conoscenza che questi tipi di pensiero sono ben conosciuti e studiati dalle aziende ( Ad esempio, Formaggio al 99% magro o al 1% grasso?) credete che qualcuno debba fare da garante per limitare l'utilizzo e l'influenza di alcune tecniche di vendita? Se si, chi lo dovrebbe fare?
Dottor Gilberto Gigliotti
Commenti
Posta un commento