Monofobia: quando stare da soli fa paura


In letteratura viene definita monofobia (dal greco μόνος, solo e ϕόβος, paura), autofobia, isolofobia o eremofobia: termini diversi per fare riferimento ad un’unica condizione: quella della paura della solitudine.  


L’uomo è un animale sociale

E’ importante sottolineare come il tema della solitudine ha assunto da sempre una grande valenza all'interno della trattazione letteraria, religiosa e filosofica, prima che psicologica, a testimonianza della sua universalità e importanza per la comprensione della natura umana, che è intrinsecamente sociale.                                            
Ecco degli esempi degni di nota:

All'interno della “Genesi”, Dio dopo aver creato la Terra e Adamo esclama:                                                    
“Non è bene che l'uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile”
(Genesi,2,18-22)

Nelle antiche scritture   Indiane “Upanishad” viene così descritta la Creazione:

All'inizio c’era l’Atman, e aveva forma d’uomo. Egli non trovava felicità; così ancora oggi, chi è solo non trova felicità. Egli desiderava ardentemente un altro. Egli divenne grande come un uomo e una donna stretti in un forte abbraccio. Egli separò questo sé in due; da qui sorsero lo sposo e la sposa ”
(Upanishad, 1,4-10)

Nel “Simposio” di Platone, Socrate raccontando la nascita degli uomini a partire da esseri ermafroditi, riporta la sofferenza che ne consegue:

“Quando dunque gli uomini primitivi furono così tagliati in due, ciascuna delle due parti desiderava ricongiungersi all'altra. Si abbracciavano, si stringevano l'un l'altra, desiderando null'altro che di formare un solo essere.”
(Platone, trad.it, 2004, pag. 55)

Dobbiamo arrivare agli anni ’70 del 900 affinché la Psicologia riconosca definitivamente come il contatto fisico e psicologico con un altro essere umano e l’appartenenza ad un gruppo siano  fondamentali: secondo  la “teoria dell’attaccamento” infatti, (Bowlby, 1969; Barnett, Leiderman, Grobstein e Klaus, 1970; Leifer, Leiderman, Barnett e Williams, 1972; Ainsworth, Blehar, Waters e Wall, 1978) lo sviluppo dell’apparato psichico dell’individuo può avvenire solo  all'interno di un legame con una figura materna sensibile e amorevole, in grado di  offrire ascolto e riconoscimento agli stati affettivi del bambino.
Possiamo quindi riflettere su come già a partire dalla nostra nascita le relazioni con gli altri sono funzionali a garantire un corretto funzionamento psicofisico e lo sviluppo di un’adeguata autostima e senso di autoefficacia e, parallelamente, un soddisfacimento di bisogni innati come vicinanza, sicurezza e appartenenza che consentono il mantenimento di una buona qualità di vita.
In questo senso la mancanza di questi legami si associa all'emergere di vissuti intensi di dolore, vuoto, perdita, mancanza di amore e conferme per la propria identità: una condizione appunto di solitudine con effetti devastanti sulla salute dell’individuo.  

Come sottolineato infatti da recenti studi condotti sul tema, una condizione di isolamento fisico prolungata nel tempo si assocerebbe all'insorgenza di ansia generalizzata (Schuurmans & van Balkom, 2011); depressione (Cacioppo, Hughes, Waite, Hawkley e Thisted, 2006); e infine patologie croniche e invalidanti come problemi a livello cardiocircolatorio, respiratori, diabete, disturbi del sonno e cancro (Cacioppo & Hawkley, 2003).


Solitudine e autonomia

Nonostante ciò, dobbiamo anche riflettere su come la capacità di restare da soli sia funzionale al raggiungimento di un adeguato livello di indipendenza e autonomia, che consente di muoversi in maniera appropriata nella vita di tutti i giorni.


In questo senso capiamo come la monofobia ha effetti diretti sulla quotidianità dell’individuo, riducendo le sue opportunità e possibilità: esperienze come prendere la macchina per andare al lavoro, essere in un luogo affollato pieno di sconosciuti o   restare soli nella propria abitazione di notte possono essere infatti vissute con ansia, terrore, angoscia e senso di vuoto in assenza di figure che possano offrire sostegno e sicurezza. Dall'altra parte la monofobia si associa anche ad attacchi di panico, pensieri ossessivi e vissuti depressivi, che riducono in maniera intensa e negativa la qualità di vita della persona.


Spesso il monofobico presenta anche una forte incapacità decisionale, dipendenza affettiva, difficoltà nell'entrare in contatto con i propri stati emotivi interni e, parallelamente, bassa autostima e mancanza di autoefficacia: condizioni   che lo spingono ad affidarsi completamente all'altro nella conduzione della propria esistenza. 

Le dinamiche profonde della monofobia

Dietro la paura della solitudine è sicuramente possibile ipotizzare che risiedano forti difficoltà nel superamento della fase di separazione/individuazione dell’infanzia, dovute a esperienze traumatiche (morte o allontanamento dal genitore), abbandono e trascuratezza emotiva, stili genitoriali svalutanti o ansiosi e iperprotettivi. Tutto questo si associa ad una impossibilità nel raggiungimento di una piena autonomia e indipendenza in quanto il soggetto percepisce il mondo esterno come minaccioso e pieno di pericoli e, parallelamente a ciò, si sente non desiderato e non amato.  
In questo senso possiamo far riferimento alla teoria di Donald Winnicott (1958), che sottolinea come la capacità di tollerare la solitudine è possibile solo se si è fatta esperienza nell'infanzia di una madre sufficientemente buona”, sensibile, presente, capace di assistere, sostenere e confortare, che ha offerto cure, sostegno e amore.  Questo consente all'individuo lo sviluppo di un senso di fiducia e sicurezza di base nel proprio sé e nel rapporto con gli altri, che si associano alla capacità di non provare sentimenti di angoscia in situazioni di isolamento e, parallelamente, gestire la propria via in piena autonomia tenendo conto dei propri bisogni, desideri, potenzialità. 


Come si può affrontare la monofobia?

Come abbiamo appena discusso, la monofobia si associa alla paura dell’abbandono, a scarsa autostima e a una mancanza di percezione della propria autonomia: dinamiche che possono essere affrontate all'interno di un percorso di psicoterapia individuale, finalizzato a prendere maggiore consapevolezza delle radici della fobia stessa, e parallelamente, lavorare sul proprio  sé, conoscere le proprie risorse, i propri bisogni, le proprie aspettative e desideri, al fine di raggiungere una maggiore indipendenza e crescita personale.

In questo senso è importante anche riflettere sul valore positivo che assume l’esperienza  di solitudine.   
Quando siamo da soli ci mettiamo davvero in gioco, sperimentiamo noi stessi e possiamo prendere maggiore consapevolezza delle nostre risorse e dei nostri limiti. Se abbiamo acquisito una capacità di restare da soli sappiamo anche amare in profondità l’altro, perché non siamo dipendenti e possiamo riconoscere la sua individualità  e differenza e sviluppare un rapporto profondo basato sullo scambio e la condivisione.
Solo quando siamo soli possiamo dialogare con noi stessi, conoscerci, comprenderci, conoscere in profondità la nostra unicità, cosa ci contraddistingue e ci caratterizza, capire in profondità chi siamo, chi siamo stati e chi vogliamo essere nella nostra esistenza. 


Dott.ssa Eleonora Capriotti
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                      





Bibliografia
-Ainsworth M., Blehar M., Waters E., Wall S. (1978), Patterns of attachment: A psychological study of the strange situation. Oxford: Lawrence Erlbaum Associates
-Barnett C., Leiderman P., Grobstein R., Klaus M. (1970), Neonatal separation: the maternal side of interactional deprivation. Pediatrics, 45, 197-205
-Baumer B. (Ed.) (2003), Upanishad. Roma: Edizioni Mediterranee
-Bowlby J. A. (1969), Attaccamento e perdita. 1: L'attaccamento alla madre. Trad. it. Torino: Bollati Boringhieri, 1999
-Cacioppo J., Hawkley L. (2003), Social isolation and health, with an emphasis on underlying mechanisms. Perspectives in Biology and Medicine, 46, 39-52
-Cacioppo J.T., Hughes M. E., Waite L. J., Hawkley L. C., Thisted R. A. (2006), Loneliness as a specific risk factor for depressive symptoms: Cross-sectional and longitudinal analyses. Psychology and Aging, 21, 140-151
-Leifer A., Leiderman P., Barnett C., Williams J. (1972), Effects of mother-infant separation on maternal attachment behavior. Child development, 43, 1203-1218
-Platone, Il simposio. Milano: Adelphi, 2004
-Schuurmans J.,van Balkom A. (2011), Late-life Anxiety Disorders: A Review. Current Psychiatry Reports, 13, 267-273
-Winnicott D. W. (1958), The Capacity to Be Alone. In D. W. Winnicott (Ed.), The Maturational Processes and the Facilitating Environment. London: Karnac Books

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