Stalking e violenza: quando è il proprio partner l'aggressore
Lo sentiamo quotidianamente al telegiornale, lo
leggiamo sui quotidiani o sui social… Minacce, violenze, maltrattamenti,
aggressioni, abusi, fino ad arrivare all'omicidio della donna ad opera del suo
stesso partner.
Secondo un recente rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità in
collaborazione con la London School of Hygiene & Tropical Medicine e la
South African Medical Research Council, che ha analizzato in
maniera sistematica i dati sulla diffusione della violenza femminile a livello
globale, la violenza contro le donne rappresenta “un problema di
salute di proporzioni globali enormi”. L’abuso fisico e sessuale sembra
infatti colpire oltre il 35% delle donne in tutto il mondo e, nello
specifico, la violenza nel 30% dei casi è inflitta da un partner
intimo.
Tra i comportamenti messi in atto ai danni della
vittima un posto principale è occupato dallo stalking, riconosciuto in Italia
come reato penale, che con l’approvazione del Codice Rosso,
prevede un periodo di carcere della durata di anche 6 anni e 6 mesi.
Alla luce dell’attuale dibattito che ha condotto allo
sviluppo del testo di Legge, sembra opportuno proporre una riflessione attorno
alle dinamiche profonde che possono spingere la persona a mettere in atto un
tale comportamento che può anche sfociare, in alcuni casi, in scenari di aggressività e violenza
inaudite.
Che cos'è lo stalking
Il termine stalking, tradotto in italiano come “molestie
assillanti” deriva direttamente dal linguaggio della caccia e
rimanda al significato di fare la posta, appostarsi in attesa di qualcuno,
pedinare in maniera furtiva. In questo senso vediamo come il comportamento
dello stalker sia molto complesso e assuma valenze molto diverse tra loro che
vanno dall'eccessiva e inappropriata ricerca di affetto e intimità, telefonate,
invio ripetuto di lettere, biglietti, posta elettronica, SMS e oggetti non
richiesti, ricerca di contatti diretti, sorveglianza della vittima, invasione degli
spazi personali fino ad arrivare a molestie, coercizione, minaccia,
aggressione e violenza. Ciò che caratterizza la dinamica dello stalking
è la sua intensità, frequenza e durata che vanno a indurre
nella vittima uno stato molto intenso di ansia e paura e una
condizione di persecuzione.
Spesso lo stalker è una figura estranea alla vittima stessa: sono noti in
questo caso episodi di stalking a danno di personaggi famosi e popolari.Possiamo inquadrare questo fenomeno all'interno della sindrome psichiatrica
dell'erotomania, o sindrome di de
Clerambault, dal nome dello psichiatra che per primo la studiò,
che assume le caratteristiche di un disturbo delirante per cui il soggetto sviluppa la convinzione che sia oggetto di sentimenti amorosi da parte di
un'altra persona, spesso famosa o appartenente ad una classe sociale superiore.
In questo senso possiamo pensare che gli appostamenti e inseguimenti messi in
atto, siano motivati da un profondo desiderio di entrare a far
parte della vita personale e privata della star, e stringere una relazione con
essa.
Un discorso invece diverso, su cui si concentra
maggiormente la riflessione che andremo a proporre, riguarda invece la
situazione in cui il comportamento di stalking è messo in atto da una figura
vicina alla vittima, spesso il suo stesso coniuge, al fine di scongiurare
un'eventuale separazione e rottura: in questo caso le condotte messe
in atto assumono quindi il significato di mantenere o recuperare il rapporto
che si è andato sfaldando.
Le dinamiche profonde
dello stalking
Per comprendere più in profondità cosa
si celi dietro questi comportamenti di stalking, è possibile far
riferimento ad una difficoltà nascosta nella persona nel superamento
dell’ansia di separazione.
Questo fenomeno che è stato ampiamente descritto da Donald Winnicott è
comune ad ogni essere umano, e viene sperimentato dal bambino a partire
dall'ottavo mese: si associa ad una naturale rottura dalla dualità
fusionale con la madre, instauratosi già durante la gravidanza, e
ad un’acquisizione della capacità di tollerare la frustrazione della separazione
momentanea, necessaria e inevitabile, dai propri genitori.
In questo senso si può riflettere sull'importanza svolta dai caregiver
nello sviluppo delle capacità di autoregolazione e di autonomia del bambino: infatti, inizialmente il
neonato utilizza il pianto per esprimere il proprio bisogno di cure,
sicurezza e conforto e richiamare a sé i suoi familiari, sperimentando
forte angoscia in loro assenza. Solo se a queste richieste coincide una
presenza continua e amorevole delle figure genitoriali, il
bambino può interiorizzare un clima caratterizzato da amore, tranquillità
e serenità, arrivando infine allo sviluppo di una capacità di costanza oggettuale, definibile come
“esperienza per cui percepisco che l’oggetto è dentro di me
anche quando non c’è".
L'acquisizione di questa competenza è fondamentale perché si associa ad un
senso di sicurezza, fiducia e speranza e, parallelamente, allo
sviluppo di una curiosità e apertura verso il mondo esterno, che
contribuiranno all'ottenimento di un adeguato senso di autostima
e autoefficacia e infine allo sviluppo di
un sé integro ed equilibrato, che si tradurrà
in una maggiore facilità nell'affrontare
situazioni nuove e ad una buona capacità di relazionarsi con gli altri.
Comprendiamo quindi come il bambino che ha avuto a sua disposizione nei
primi mesi di vita un contesto di attaccamento responsivo e
amorevole, ha interiorizzato una sicurezza di base e la consapevolezza che non
sarà mai solo, ma potrà sempre contare sulla presenza dell'altro,
anche quando questo non c'è. Una presenza buona, un'immagine dolce a
amorevole a cui poter tornare e a cui poter pensare per definire se stessi e
non andare incontro a vissuti di disperazione e angoscia, riuscendo anche ad affrontare situazioni difficili e dolorose mostrando resilienza e fiducia nel futuro.
Tornando al comportamento di stalking, possiamo quindi interpretarlo sotto
una nuova luce, collegandolo ad una forte dipendenza affettiva dell'individuo
che non riesce ad accettare la fine della relazione e l'abbandono del
partner. Una risposta ad un'ansia di separazione mai superata nella
propria infanzia, che spinge il soggetto a ricercare il contatto diretto con
l'altro e a molestarlo, riducendo la sua libertà e il suo spazio personale,
fino a incutere ansia e paura persistenti.
Quando lo stalker è violento
Come abbiamo già accennato in
precedenza, nel comportamento di stalking rientrano anche condotte
violente, che possono sfociare in minacce, aggressioni fino, in alcuni
casi, a condurre all'omicidio della vittima.
Di nuovo per cercare di comprendere queste dinamiche, possiamo far riferimento
all'esperienza di attaccamento vissuta dal soggetto nella sua infanzia e
all'eventuale presenza di esperienze traumatiche.
Come sottolineano infatti molti studi condotti negli ultimi anni (per una
rassegna esaustiva possiamo fare riferimento all'opera di Clara Mucci, “Trauma
e perdono”), un bambino che ha fatto esperienza di gravi traumi
nell'infanzia, quali lutti o separazioni precoci, abusi emotivi
e fisici, molestie sessuali fino ad arrivare all'abuso sessuale ad
opera di genitori o figure vicine alla famiglia, potrà sviluppare a partire
dall'adolescenza, disturbi nella condotta, che potranno determinare la messa in atto di azioni efferate e di inaudita violenza.
Queste esperienze vissute nei primi anni di vita dal bambino,
contribuiscono infatti ad una mancata regolazione emotiva,
una mancanza di controllo della impulsività, una mancata
acquisizione della capacità di mentalizzazione, come capacità di
riconoscere e fare propri gli stati emotivi propri e altrui, e possono
determinare l’emergere di una distruttività senza fine che può
sfociare anche nell'omicidio dell'altra persona.
Proponendo questa riflessione possiamo quindi adottare uno sguardo nuovo
sul tema della violenza sulle donne di cui sentiamo parlare quotidianamente: un
punto di vista che richiama al ruolo fondamentale delle Istituzioni e di ogni
cittadino nella prevenzione di tali crimini. Una prevenzione primaria rivolta
ai bambini, vittime silenziose e impotenti, che vivono esperienze al limite nei
primi anni di vita che non consentono loro di sviluppare fiducia nel futuro e
negli altri. Bambini che una volta diventati adulti, possono riversare la loro distruttività sulle figure a loro
più vicine, spesso proprio le loro mogli, compagne, fidanzate, troppo
necessitanti di amore e riconoscimento per poterli abbandonare...
Possiamo pensare in questo senso che dietro al carnefice, all'uccisore, all'assassino si nasconda solo un bambino… Un bambino che ha subito soprusi, violenze, rifiuti, abbandoni nella sua infanzia… Che non ha potuto fare esperienza di amore.. Che non ha ricevuto dalla propria madre carezze, coccole, abbracci… Ma schiaffi, calci e umiliazioni… Che è rimasto solo, piangendo in attesa che qualcuno lo prendesse in braccio e che lo consolasse… Qualcuno che per lui non è mai arrivato…
Dott. ssa Eleonora Capriotti
Bibliografia
“Attrazione, ossessione e stalking.” W. R. Cupach, B. H. Spitzberg,
Astrolabio Ubaldini, 2011
"Erotomania: A conceptual history." G.
E. Berrios, N. Kennedy. History of Psychiatry, 13, 381-400, 2003
“Legami che fanno soffrire. Dinamica e trattamento delle relazioni di
coppia violente.” P. Velotti, Il Mulino, 2013
“Stalker. Psicopatologia del molestatore assillante.” V. Caretti, G.
Craparo, Giovanni Fioriti Editore, 2015
“Trauma e perdono.” C. Mucci, Raffaello Cortina
Editore, 2014
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